“Se chiudo gli occhi” di Francesca Mannocchi e Diala Brisly è il quarto volume della collana “Donne sul fronte” nata dalla collaborazione tra Round Robin editrice, Il Fatto Quotidiano e Paper First. Ogni settimana un graphic novel vi racconterà la storia di donne e giornaliste impegnate in scenari di guerra. Sette numeri tutti da collezionare per conoscere la storia di donne che hanno fatto la Storia.
[di Francesca Mannocchi] Diala Brisly non ha armi. Diala Brisly nelle mani stringe pennelli e colori.
Fino al 2014 Diala viveva in Siria, il suo paese. La guerra l’ha costretta alla fuga. Trasformando Diala in una donna in fuga, poi in una richiedente asilo, poi in una rifugiata. Oggi, dopo sei anni, e dopo aver vissuto dapprima in Turchia e poi in Libano, risiede in Europa.
Diala, come è arrivata l’arte nella tua vita? Piuttosto in fretta, grazie a uno zio materno che da piccola mi incoraggiava a disegnare, regalandomi fogli, colori, pennelli e consigliandomi cosa fare. I miei studi, in seguito, mi hanno portata altrove, prima a studiare letteratura araba e poi, niente di apparentemente piu’ distante dalle illustrazioni che realizzo ora, all’ingegneria civile. Non superai l’esame, però.
Perché? Perché rifiutai di accettare la corruzione dell’esaminatore. Funzionava tutto così. Funziona ancora tutto così in Siria.
La tua rivoluzione privata. E’ sempre stato così? E’ stato così da quando ero bambina. Ricordo che da piccola mi lamentavo con i miei genitori dell’organizzazione della scuola. I miei genitori sono siriani, ma io sono nata in Kuwait e ho vissuto lì fino all’età di dieci anni. Quando siamo arrivati in Siria la prima sensazione che ho avuto, frequentando la scuola, era che fosse piu’ simile a un luogo di detenzione che a un luogo di insegnamento. Non riuscivo a capire perché ogni mattina dovessi cantare inni per magnificare la vita di Hafez al Assad, o inni infuocati contro i terroristi. Guardavo gli altri bambini e non capivo.
Raccontami la tua vita scolastica di bambina in un’immagine. Il desiderio di scappare via dalla finestra.
I tuoi genitori come reagivano a questa insubordinazione, al tuo spirito ribelle di bambina?
I miei genitori sono un tema delicato e doloroso. La mia vita familiare non è stata serena. I miei genitori vivevano un conflitto ininterrotto. Io e i miei fratelli accogliemmo la notizia della loro separazione con sollievo. Non ne potevamo piu’. Oggi i nostri rapporti non sono buoni. Quando mio padre ha scoperto che facevo parte della rete di attivisti della rivoluzione mi ha bloccata su ogni mezzo di comunicazione e social network per paura delle conseguenze. Quanto a mia madre, era ed è leale al regime.