“Rwanda, i giorni dell’oblio” di Martina Di Pirro e Francesca Ferrara è il sesto volume della collana “Donne sul fronte” nata dalla collaborazione tra Round Robin editrice, Il Fatto Quotidiano e Paper First. Ogni settimana un graphic novel vi racconterà la storia di donne e giornaliste impegnate in scenari di guerra. Sette numeri tutti da collezionare per conoscere la storia di donne che hanno fatto la Storia.
[di Martina Di Pirro] Poche donne possono raccontare la guerra come Tiziana Ferrario. Giornalista, inviata, conduttrice Rai, appassionata sostenitrice dei diritti delle donne, ha documentato per anni guerre e crisi umanitarie dagli angoli più remoti del pianeta. Per il suo lavoro dal fronte della guerra afgana e irachena ha ricevuto numerosi premi ed è stata insignita del riconoscimento di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana per l’impegno civile come giornalista inviata in aree di guerra. Insomma, Tiziana Ferrario conosce, approfonditamente, il ruolo dei media nello scenario geopolitico.
Viviamo in un’epoca in cui la potenza virale dei social media ha
sostituito, in parte, il giornalismo tradizionale. Siamo inondati di fake news e semplificazioni. Qual è oggi il ruolo del giornalista?
«Io credo che il mestiere del giornalista sia diventato più complicato. Oggi vediamo che la presenza del giornalista, il suo valore di mediatore delle notizie, sono stati soppiantati dai social media. Questo aumenta la possibilità di ricevere fake news, perché il dovere di verificare i fatti è stravolto dall’immediatezza del mezzo social. L’imparzialità assoluta è un dogma quasi impossibile, però il lavoro del giornalista è quello di confrontare le fonti, di approfondire. Ce ne sarebbe ancor più bisogno, ora. Il giornalista, in quanto mediatore tra fatti del mondo e lettore, deve fare quel lavoro di inchiesta che spesso chi sta sui social media non è interessato a fare. Certo, è un lavoro faticoso. Ancora più di prima. La velocità dei social media è enorme, in rete passa di tutto: quando escono notizie false bisogna rincorrerle, per smentirle. E servono giornalisti preparati per controbattere a certi tipi di fake news, che sembrano tanto veritieri. Bisognerebbe
investire di più sui giornali. È un insegnamento che viene dai grandi
giornali americani, dal New York Times al Washington Post: per alzare l’asticella della qualità dello scritto, hanno creato redazioni di factchecking. Un lavoro che occupa tempo e risorse ma è essenziale per un buon giornale e un giornalismo di approfondimento. Certo, bisogna volerlo. Bisogna volere un giornalismo di qualità, bisogna voler investire sulla verità, e purtroppo sono pochi gli editori che scelgono questa strada. Per questo la credibilità dei giornalisti vacilla: hanno poco tempo e poche risorse per approfondire. Non bisognerebbe fermarsi all’emozione della notizia, ma riuscire ad analizzarla, verificarla e arrivare il più vicino possibile alla verità. Ecco il punto: giornali, editori e giornalisti dovrebbero voler investire sulla verità».