“Afghanistan, cronache di una reporter di guerra” di Barbara Schiavulli e Emilio Lecce è l’ultimo volume della collana “Donne sul fronte” nata dalla collaborazione tra Round Robin editrice, Il Fatto Quotidiano e Paper First. Ogni settimana un graphic novel vi racconterà la storia di donne e giornaliste impegnate in scenari di guerra. Sette numeri tutti da collezionare per conoscere la storia di donne che hanno fatto la Storia.
[di Barbara Schiavulli] Tra le donne che hanno assunto un ruolo nella ricostruzione di un paese in frantumi, in macerie, che vanno dai quartieri alle coscienze distrutti, c’è Lailuma Nasiri, co-fondatrice e vicepresidente dell’Afghan Justice Organization, un’organizzazione che si occupa di corruzione, diritto alla giustizia, democrazia, governance e anche di genere. Forte, agguerrita, senza peli sulla lingua. Con una visione, e l’energia per perseguirla.
Nata negli anni Settanta, non ricorda molti momenti di pace, nella sua infanzia. «L’Afghanistan stava per essere invaso dai sovietici, un conflitto che sarebbe durato dieci anni». Negli anni Novanta si era appena diplomata alle superiori quando i mujahidin, i Signori della Guerra, presero il potere e «disegnarono una nuova Storia degli afgani e dell’Afganistan, con un devastante conflitto interno, distruzione, la perdita di tutto quello che la gente aveva. Io e la mia famiglia siamo dovuti scappare in Pakistan, e nonostante fossero anni difficili e pieni di sacrifici, sono riuscita a completare gli studi». Poi, rientrati in Afghanistan, la giovane Lailuma ha servito il suo paese, dice, lavorando per organizzazioni internazionali e per la società civile. Da più di diciassette anni lavora per la giustizia di genere, per i diritti umani, contro la corruzione e l’estremismo.
È possibile immaginare, dopo diciannove anni di guerra, una società afgana dove i talebani sono di nuovo parte della vita politica dell’Afghanistan?
«Dobbiamo partire da due considerazioni, per rispondere. La prima è che la pace è essenziale per l’Afghanistan e gli afgani. Ovviamente la pace richiede un prezzo e per fermare l’attuale bagno di sangue non possiamo non immaginare che i talebani diventino parte della politica. La seconda è che la comunità internazionale, guidata dagli Stati Uniti, invase l’Afghanistan quasi venti anni fa per combattere e sconfiggere il terrorismo e questo implicava che i talebani venissero cacciati per rendere questo paese libero e il mondo più sicuro, dopo anni di vite perse, sangue, milioni di dollari e accordi. Non ci è riuscita. Ha fallito comunque la si guardi. Se ora siamo qui a parlare di un accordo di pace con i talebani è perché i talebani sono ancora forti. E gli americani hanno fretta di andarsene. A questo proposito, è stata anche brutta, per gli afgani, la firma da parte degli americani di un accordo con i talebani (febbraio 2020), dal quale è stato escluso il governo legittimo, creato con il sostegno della stessa comunità internazionale. A questo punto gli afgani non hanno altra scelta che immaginare i talebani nella sfera politica dell’Afghanistan».
I colloqui intra-afghani sono in corso, qual è l’obiettivo del governo afgano e quale quello dei talebani?
«I negoziati intra-afgani, sebbene siano fermi da un po’ a fronte di alcuni disaccordi, sono considerati un importante sviluppo nel processo di pace iniziato con i negoziati e l’accordo tra governo americano e talebani. Il governo afgano deve proteggere venti anni di progressi, la repubblica, i valori democratici, la Costituzione afgana, che garantisce i diritti del popolo afgano. Dall’altra parte, i talebani dicono di rappresentare la gente ma di fatto non conosciamo bene il loro pensiero su quali dei nostri valori possano riconoscere e sostenere. E tanto meno sappiamo, con certezza, cosa vogliano gli afgani, divisi tra quelli delle città, delle montagne, delle pianure. Alcuni vivono in quartieri affollati, altri in paesi isolati senza neanche l’accesso all’elettricità. Quello che sappiamo dai media e dalle sporadiche e vaghe dichiarazioni dei talebani, è che vogliono uno Stato islamico (l’Afghanistan è uno Stato islamico), dicono che sono contro la Costituzione perché non si basa sulla Sharia (ma la Costituzione si basa sulla Sharia – la legge islamica). Qualcuno di loro ha detto che sono pronti a concedere diritti alle donne, ma su quali e come non abbiamo alcuna idea. Quello che vuole la gente, senza dubbio, è che la violenza cessi, e invece aumenta costantemente. La gente vuole un accordo di pace, dove tutti, e quando dico tutti parlo di donne e uomini, possano vivere in armonia e dignità».