Ho scritto “L’errante” con l’unico scopo di rappresentare e dare voce, da un lato, al grande conflitto politico e sociale fra l’Occidente e l’Islam radicale che ha attraversato questi anni, dall’altro, a quella componente di lotta interiore e personale che ogni individuo si è trovato ad affrontare nel confronto con tutto ciò che è diverso per cultura, provenienza etnica, credo religioso o convinzione laica.
Ho voluto farlo attraverso l’unico modo che conosco: quello della vita delle persone e dei personaggi, un avvocato penalista e un giovane immigrato a cui vengono contestati atti e apologia del terrorismo islamista. Ho cercato di vivere con loro, immaginare con loro e come loro. Ho cercato di attraversare lo spazio e il tempo, sorvolando terre vicine e lontane, ripercorrendo secoli di battaglie e conflitti, scoprendo, così, inverosimili punti di contatto e indicibili pulsioni di passione e curiosità fra mondi in apparenza inconciliabili.
Ho cercato di percorrere quel corridoio di specchi che coincide con il Mediterraneo e si protende sino al vicino oriente e poi oltre verso l’antica Babilonia e ancora più a nord-est all’apice di Samarcanda, con un occhio che si allunga oltre l’ultimo oriente, sino alla più remota delle isole della Sonda che segna il confine estremo dell’Islam sul pianeta Terra.
Ho avvistato cumuli di pietre che nei deserti e sulle montagne componevano parole dedicate a Dio e invocato fonti letterarie che hanno accompagnato i voli dell’avvocato Ermetici, dal Don Chisciotte, a chiudere la tradizione cavalleresca, a Lo straniero di Camus capace di dettare un interrogativo senza soluzione sull’identità di ciascuno di noi.
Ho cercato di ascoltare le protagoniste femminili del romanzo: Enrica Lovisi, una donna non più giovane e sola, testimone d’accusa e protettrice di Ibrahim al tempo stesso; Maryam, la giovane traduttrice egiziana, anello di congiunzione, tanto vicina all’occidente da saper mantenere le distanze; Carla una prostituta che sa essere una regina carnale, appartenente a tutti e a nessuno, secondo l’unica legge che pare prevalere in occidente, quella della moneta.
In compagnia di queste anime erranti, proprio nel doppio senso della parola, ho voluto percorrerla e risalirla, come la spirale del minareto di Sammara, questa paradossale solitudine e ostilità che accompagna il nostro tempo così affollato di ogni tipo di connessione, relazione e apparente conoscenza, eppure nella moltitudine così desolato.