Qualche giorno fa ci ha lasciato un amico a cui dobbiamo molto, sia da un punto di vista personale – per alcuni di noi – che, e soprattutto, da un punto di vista culturale per l’itero panorama musicale italiano. La musica come presupposto, le parole come strumento di condivisione: questo era Andrea Mi. Più di dieci anni fa scrisse per noi una “ghost track” al libro “…e di sorpresa abbiamo 40 anni”, di Francesco Sapone. Un diario, un romanzo autobiografico, un flusso di coscienza fatto di ricordi e sensazioni vissute. Un piccolo capolavoro che racconta la vita di un giovane Fan dei Casino Royale e la vita attorno a concerti e backstage. Andrea di quel mondo era parte integrante e grazie a lui quella musica ha riempito la nostra redazione per molte ragioni che ci piace ricordare, tenendole al sicura tra i ricordi belli di questi 15 anni passati. A quel libro – “il libro di Sapone” come lo ha sempre chiamato – Andrea era molto legato perché c’è anche una piccola parte di se, come quella di molte persone di quella generazione. E quella parte vogliamo condividerla assieme a tutti voi. Il romanzo di Francesco, l’intro di Alioscia (Casino Royale) e la ghost track di Andrea.
Ghost Track
di Andrea Mi
Mi sono emozionato. Si capisce?
Casino Royale è un sacco di cose per un tot di gente. Tutto e il contrario di tutto per usare un’espressione ricorrente in questo libro. Testa contro testa, cuore con cuore, in un bordello proletario, pulsante di vita, ammacchi, ferite, cicatrizzazioni, energie buone e sorrisi, arrivi e partenze. È una storia lunga per una generazione intera che ora si trova a mollare gli enta per gli anta, a volte col sapore un po’ amaro delle cose lasciate o perse per strada, più spesso con quel dolce gusto che sa di rime mandate a memoria, chilometri consumati per andarli a sentire, bassi e vibrazioni passate di città in città, di palco in palco.
Casino Royale è un’identità mutante che si è scomposta e ricomposta in mille combinazioni senza mai perdere identità, anzi cercando nei cambiamenti come nelle capacità adattative il proprio carattere. CR è un paradigma della migliore energia creativa covata nel sottosuolo italiano, una specie di lente d’ingrandimento attraverso la quale guardare molti dei momenti cruciali della nostra scena musicale e dei fermenti internazionali più vivi. Multikulti, come quel disco famoso che dava il titolo alla trasmissione, sulla mitica contro, sottofondo ai pomeriggi fiorentini di Francesco e che io conducevo imparando a fare la radio con i consigli di Love Calò.
CR assorbe come una spugna, filtra e poi rilascia all’esterno, rigenerati e resi organici, una miriade di spunti, influenze, estetiche e culture musicali che cavalcano due decenni belli densi. E ci lascia appunti generazionali, frasi e liriche come tatuaggi incisi nell’anima di noi vagabondi un po’ bastardi, che ci portiamo dietro nei tragitti impazziti delle nostre vite realmente incasinate. Treni, occupazioni, backstage, club, festival, passano veloci negli occhi, come un “wilaaa, come again!!!” urlato al “selecta” perché la canzone ci piace e la vogliamo ascoltare daccapo.
Storie parallele, sempre cariche di buone vibrazione, certe volte un pizzico tristi come gli addii che poi, forse, non sono mai addii veri, semmai parentesi con i puntini di sospensione dentro, nel mezzo di discorsi che continuano e ci vedono diventare grandi. Con la maturità, quelle distanze che sembravano differenze apparentemente inconciliabili diventano specificità da conservare e di cui nutrirsi. Così forse c’è meno strada da fare… oppure no, che macinare asfalto ci piace ancora un sacco, dentro e fuori i tour.
Nella storia della band di Alì, Pardo, De Maestro, Alessiomanna, Patrick e in quelle di molti di noi, i lati emotivi sono sempre lì, anche quando hanno angoli smussati, chiudono e aprono immaginari ring nei quali si continua a sganciare ed incassare cazzotti, costantemente alla ricerca di equilibrio. Per stare in piedi anche quando prendi i colpi pesi, come quando ti buttano fuori da uno spazio che sarebbe tuo. Per lo sbattimento, il sudore, la fantasia che ci hai messo. Garigliano occupata era un luogo della mente, con le porte sempre aperte quando ti serviva un letto e un tetto a Milano, coi santini sul frigorifero e i bambini in giro e Dj Gruff inglobato dal divano a pensare beat e Alì sempre indaffarato in mille sbattimenti…
Dall’Anno Zero, ogni singolo giorno ci sono cose difficili, per cui siamo sempre pronti al peggio ma il tempo che abbiamo davanti guarda in alto e ci vuole sempre più vicini.
CR, geograficamente, è un non luogo che respira i piovosi grigi milanesi e gli assolati orizzonti di mare del Salento, la dura costa Toscana e le brulicanti viuzze bolognesi. Un posto che è tanti altri posti. Un mix. Una geografia in movimento, su strade con le buche che certe volte fanno saltare il cd dell’autoradio o perdere la frequenza e un sacco di incroci dove perdersi o ritrovarsi.
C’è un istinto di protezione inscritto nel codice genetico del progetto, come un’attitudine alla difesa e alla protezione dei propri ideali, della propria coerenza pagata cara, della poesia che si è riusciti a capire e a generare. “Protect me” porta inciso ad argento una t-shirt che conservo gelosamente dal periodo “gadget” di CR, quello delle saponette con i titoli delle canzoni a rilievo e delle scatole di cartone con dentro i poster. “…from what I want” continuava quel pezzo. Ottimo il principio zen sotteso al concetto. Roba da pensarci un sacco sopra. Ma cosa volevamo ai tempi di “Jungle Jubilee” e cosa vogliamo ora che “Reale” gira nei nostri lettori?
Il brivido che mi ha scannerizzato la schiena all’ultima pagina di questo racconto empatico è la risposta.